Ognuno di noi in questi giorni sta affrontando e vivendo sulla propria pelle e su quella dei propri familiari tanti problemi piccoli o grandi; molti di noi sono a casa e pensano continuamente al proprio lavoro, al futuro della propria famiglia nutrendo, ogni istante che passa, dubbi crescenti, timori e paure.
Personalmente, sono tra quanti sono chiamati a svolgere quotidianamente un “servizio di pubblica utilità”. Certamente non “in prima linea” al pari di medici, infermieri ed operatori sanitari… ma fino ad oggi il rischio-salute non era certamente contemplato in maniera così evidente e drammatica tra gli “imprevisti” del mio lavoro.
E’ altrettanto vero, però, (e me lo ripeto ogni mattina prima di uscire di casa) che non posso tirarmi indietro, che non posso mollare proprio ora…
E’ il momento per noi tutti di provare ad essere realmente “responsabili”, di continuare ad esercitare nel concreto quella responsabilità intesa come “prendersi cura”, come “portare il peso delle cose e delle persone”, di continuare a cercare risposte proseguendo su quella strada che come Associazione Matera2019 abbiamo deciso di imboccare, ad esempio, a partire dal 2018 con il progetto Care For.
Come ripete continuamente Stefano Zamagni, è questo il momento in cui dobbiamo “fare lo sforzo di fare bene il bene”, di continuare a stare dentro quel percorso di senso che ha legittimato tutto l’impegno associativo da oltre dieci anni, ad usare tutto quell’equilibrio e quell’attenzione di cui siamo stati e siamo capaci per rimetterci sulle spalle una comunità e traghettarla verso il futuro, per recuperare una coscienza collettiva ed una cura della collettività, un comune sentirsi popolo e comunità.
“Se fosse possibile dire, saltiamo questo giorno ed andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”(Aldo Moro).
Come Associazione abbiamo, quasi profeticamente direi, intuito che dalla fragilità, dalle tante fragilità dovevamo ripartire…
Bene, ripartiamo ora…e ripartiamo dalla comunicazione, oggi più che mai fondamentale.
Quel che è certo, infatti, è che abbiamo tutti bisogno di nuove storie, di una nuova narrazione che ci aiuti a comprendere e ad attraversare questo tempo che stiamo vivendo preparandoci in maniera seria e corretta al dopo.
Una narrazione, aggiungo io, che sia fondata sul dono, sulla reciprocità, sul senso di appartenenza ad una comunità, sul prendersi cura, sulla responsabilità per come correttamente come Associazione abbiamo provato ad intendere questi concetti ed a diffonderli in questi ultimi anni.
Gli appelli alla responsabilità di questi giorni hanno, infatti, un qualcosa di strano e paradossale: la responsabilità è di tutti ma ognuno la esercita individualmente, chiama ad agire ma è fatta principalmente di divieti.
Si cerca di tutelare un bene comune come la salute pubblica perpetuando un modello autoritativo fondato sul potere e sulla coercizione ignorando che può esistere un nuovo paradigma basato sulla condivisione e sulla collaborazione tra amministrazione e cittadini, l’unico, a nostro avviso, in grado ora di farci ritrovare il senso dell’interesse generale, il senso di un impegno comune.
C’è bisogno, inoltre, di una nuova narrazione che provi ad opporsi a questa “narrazione di guerra” che si sta pericolosamente, diffondendo in questi giorni. Una narrazione che non si preoccupa minimamente di indagare le cause e si sottrae ad una seria riflessione sul futuro.
Nessuno ci dice, per esempio, che è andato in crisi il mito dell’invulnerabilità e dell’illimitatezza di cui ci siamo nutriti per oltre vent’anni, nessuno ci dice che da domani avremo bisogno di imparare a stare al mondo in modo diverso, di un’economia nuova che si prenda cura dell’altro e della Terra, che avremo bisogno di un nuovo paradigma fondato su equità sociale e sostenibilità ambientale, senso della comunità e condivisione, cittadini attivi ed imprese socialmente e civilmente responsabili.
Nessuno ci dice che negli ultimi anni abbiamo esaltato unicamente il profilo dei diritti individuali e mortificato, invece, i diritti sociali ed i doveri verso la comunità.
Nessuno ci dice che è questo il momento in cui dobbiamo ripartire per disegnare una nuova etica dei comportamenti e nuove politiche che siano all’altezza dei nostri desideri e delle nostre speranze.
Nessuno ci dice che avremo d’ora in avanti bisogno di ricostruire un nuovo “patto”, tra persone, tra cittadini ed enti locali, tra consumatori ed imprese, tra comunità ed istituzioni nazionali ed internazionali.
Come Associazione tra i primi avevamo cominciato a dire che era giunto il momento di investire sul valore della comunità, sui vincoli morali e non solo giuridici che ci legano, sulle virtù civiche da coltivare, sulla serietà e sulle competenze da far emergere, sulla consapevolezza che non tutto può essere gestito direttamente dal potere pubblico senza l’ausilio e la collaborazione dei corpi intermedi e dei cittadini “liquidi”, ma soprattutto… che non si può essere felici da soli.
Ricominciamo ora, da questo spazio, a diffondere questi contenuti.
Cominciamo da subito a ricostruire la nostra città e la nostra comunità.
Qualcuno ha scritto: “E’ dentro situazioni di fragilità che si scopre che nessuno può salvarsi da solo, che dipendiamo l’uno dall’altro, e che questa dipendenza non è un limite alla nostra libertà. La fragilità diventa la condizione per realizzare delle possibilità” (Benasayag M. e Schmit G., L’epoca delle passioni tristi).
Pur tra le mille difficoltà e le legittime preoccupazioni che stiamo tutti vivendo, proviamo allora a fare lo sforzo di concentrarci sulle nostre “possibilità”.
“La possibilità – e cito ancora Zamagni – è la combinazione di due elementi: le opportunità e la speranza”. E la speranza “…si alimenta con la creatività dell’intelligenza politica e con la purezza della passione civile”. E’ in questa speranza che vogliamo e dobbiamo continuare tenacemente a credere, una speranza che non è utopia o distopia, ma, come ripeto spesso, è, invece, eu-topia, memoria di un futuro più giusto in cui incontrarsi.
Noi ci siamo e siamo disponibili a fare la nostra parte, siamo disponibili ad avviare ed a farci carico di una nuova e coraggiosa stagione della speranza ma anche dei doveri.
Speriamo vivamente di non rimanere soli…
Mino Di Pede
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